Permacultura: la storia delle CICOGNE di Fagagna
Ottobre 4, 2014L’indispensabile Palladio
Ottobre 4, 2014Come una serie di cartoline dal passato, una mostra a Parigi scopre il paesaggio italiano del 15 e 16 secolo con il lavoro di Giovanni Battista Cima da Conegliano.
“Chi parte da Venezia, dopo un viaggio di due ore (se prende l’accelerato, magari quello del sabato sera, pieno di studenti e di operai) giunge al limite del Veneto e, per dissolvenza, entra nel Friuli. Il paesaggio non sembra mutare, ma se il viaggiatore è sottile, qualcosa annusa nell’aria. E’ cessata sulla Livenza la campagna dipinta da Palma e il Vecchio e da Cima. Le montagne si sono scostate, a nord, con vene di ghiaioni e nero di boschi appena percettibile contro il gran velame; e il primo Friuli è tutto pianura e cielo. Poi si infittiscono le rogge, le file dei gelsi, i boschetti di sambichi, le saggine, lungo le prodaie. I casolari si fanno meno rosei, sui cortili spazzati come per una festa, coi fienili tra le cui colonne il fieno si gonfia duro e immoto. Ma è specialmente l’odore – che fiotta dentro lo scompartimento svuotato – a essere diverso. Odore di terra romanza, di area marginale.”
Così Pasolini descrive con straordinaria sensibilità questa parte di Veneto là dove trascolora nel Friuli e non è un caso che ricordi la pittura di Palma e di Cima, due tra gli artisti da sempre più attenti alla natura, alla luce ed al paesaggio.
Il noto brano, tratto da “Un paese di temporali e di primule” tradisce la stessa intima frequentazione con i luoghi che ritroviamo nello sguardo e nel pennello attento e sensibile del maestro di Conegliano.
Cima, “poeta del paesaggio” è stato definito nella mostra che la città natale, gli ha dedicato a palazzo Sarcinelli nel 2010 a quasi cinquant’anni dall’esposizione allestita da Carlo Scarpa nel Palazzo dei Trecento di Treviso e a oltre un quarto di secolo dalla fondamentale monografia redatta da Peter Humfrey.
L’iniziativa prodotta e organizzata da Artematica, curata da Giovanni Carlo Federico Villa, coadiuvato da un comitato scientifico che comprende i maggiori studiosi italiani e stranieri su Cima da Conegliano, quali Peter Humfrey, David Alan Brown, Mauro Lucco e Matteo Ceriana, ha presentato oltre 40 opere, provenienti dalle maggiori istituzioni pubbliche mondiali, come la National Gallery di Londra, la National Gallery di Washington, l’Ermitage di San Pietroburgo, le Gallerie dell’Accademia di Venezia, in grado di ricostruire la vicenda artistica di Cima, uno degli interpreti maggiori della cultura figurativa a cavallo tra 400 e 500 finalmente co-protagonista e non solamente discepolo delle genialità del calibro di Giovanni Bellini e Giorgione da Castefranco.
Niente paura, chi si è lasciato sfuggire la splendida mostra del 2010 che la città natale, Conegliano, ha dedicato al “poeta del paesaggio”, potrà comunque gustarla a Parigi, al Musèe du Luxemburg dal 5 Aprile al 15 Luglio.
Ma chi era Cima da Conegliano e soprattutto, come si pone all’interno di un periodo artistico altamente caratterizzato come quello dell’ambiente veneto sul finire del ‘400?
La sua vicenda biografica, piuttosto esigua data la scarsità dei documenti esistenti, presenta ancora dei lati oscuri come la data di nascita, posta tra il 1459 e il 1460 e deducibile dall’estimo coneglienese del 1473 ove lo si identifica in un Joannes Cimator, molto probabilmente quattordicenne, perché era quella l’età in cui si cominciava, secondo la normativa veneta, a pagare le tasse in proprio.
L’artista, prodigo di firme ma non altrettanto di date, poco aiuta gli storici così, la tenue trama cronologica, pone anche il problema della sua formazione che la tradizione, Vasari in primis, vuole belliniana, mentre la critica colloca nell’ambito della produzione prettamente locale.
Narra il Vasari: “Fece anco molte opere in Venezia, quasi nei medesimi tempi, Gio. Batista da Conigliano, discepolo di Gio. Bellino […] e se costui non fosse morto giovane, si può credere che avrebbe paragonato il suo maestro”.
Documentata dall’orgogliosa firma e data “Joanes Baptista de Conegliano fecit 1489 adì primo marzo” è la sua presenza a Vicenza per l’esecuzione della pala per la chiesa di S.Bartolomeo, dove sono evidenti i contatti col Montagna ed è anche l’anno in cui si trasferisce definitivamente a Venezia per aprire bottega ed inziare la sua fortunata carriera.
Lo stile di raffinato classicismo di Cima, filtrato da un crogiolo spesso insolubile di reciproche influenze come la lezione del Bellini, nel condividere il “sentimento della natura” o quella dei Lombardo, nella purezza volumetrica delle figure fino alle “variazioni sul tema” delle cristalline composizioni di pale d’altare distillate da Antonello da Messina tramite Alvise Vivarini, ben ripaga della scarsità delle informazioni documentaristiche, consegnandoci alla gioia di una pittura di altissima qualità e che, nel corso del tempo, non conosce cedimenti.
Qualunque sia stata la sua formazione che comprende, come abbiamo accennato, una varietà d’influssi, siamo di fronte ad un pittore che ha posto una straordinaria attenzione nei confronti del paesaggio naturale, tanto che alcuni luoghi da lui descritti sono tuttora topograficamente rintracciabili.
Al pari dei santi e delle numerose madonne da lui eseguiti adottando delle tipologie ricorrenti in una polarità che va dal patetismo all’interesse psicologico, restano i paesaggi a commuoverci e a costituire la vera magia delle sua pittura.
Come spiega Giovanni C.F.Villa nel catalogo della mostra sopraccitata, “ la sua arte è davvero una comunione con l’ambiente naturale, così stretta e viva da destare in noi quasi metaforiche allusioni dei sensi; che par di respirare aria fresca, profumo di fiori, alito di verzura, odor di terra: sapore di verità (Coletti)” la sua cultura è vasta, raffinata, cosmopolita, in una città, la Venezia a cavallo tra Quattro e Cinquecento, che è davvero la capitale dell’arte europea. E non solo: per la ricchezza di committenza, prestigio di bottega, frequenza delle richieste, il coneglianese è uno dei primi nella città che vede attivi contemporaneamente Bellini, i Vivarini, Carpaccio e Giorgione”.
Nella Veneza del tempo siamo alla presenza di botteghe di alto, se non di altissimo livello che rispondono ad una committenza religiosa e borghese preparata che faranno la fortuna, anche economica, del maestro di Conegliano ma che assestano il proprio gusto nelle forme certe e spesso convenzionali dell’arte devozionale.
Gli anni tra il 1494 ed il 1515 lo vedono attivo per lo più nella città lagunare in contrada S.Luca, dove prese moglie per due volte diventando padre di ben otto figli.
“E negli anni Novanta del Quattrocento è Cima, accanto a Giovanni Bellini, il grande inventore dei cieli e del paesaggio italiano. Reso con una poesia capace di valicare i secoli ed essere ancora attualissima, in valli e rocche definite dall’intensità di albe e tramonti che saldano uomini e natura in indissolubile unità. Da qui nasceranno Giorgione, Tiziano e la fondamentale stagione del Cinquecento veneto” racconta Giovanni C.F. Villa.
Di questi anni, solo per citare alcuni altissimi esempi: la Madonna dell’arancio dove la “luce preziosa filtrata nel verde fresco delle foglie intatte, irrorano(…) le sante figure salde e nobili( Boccazzi)”; la Madonna col bambino di Londra eseguita secondo Humfrey poco dopo quella di Gemona del 1496, che rimane la tipologia più amata e ripetuta del noto tema devozionale; il S. Sebastiano già del polittico della chiesa di S Rocco a Mestre il cui elegantissimo nudo di ascendenza lombardesca si erge “come una torre d’avorio sull’alto cielo.(Longhi)”; il S Girolamo di Londra anch’esso prototipo di una serie di varianti sul tema del rapporto tra figura e paesaggio; la Sacra conversazione di Parma dove dal sapiente uso della luce che sfuma nell’ombra i personaggi, emergono malinconici stati d’animo ed armoniche architetture di ascendenza belliniana.
Sono gli anni più fecondi della sua produzione che lo vedono anche attivo per brevi periodi in Emilia tra Parma, Bologna e Carpi ad attendere alle numerose commissioni di pale d’altare.
Dopo il 1515, sopravvissuto alla prematura scomparsa di Giorgione ed alle malie della sua inconfondibile pittura, quando l’arte di Bellini ravvivava il suo linguaggio con il Festino degli dei e la sensualità del colore di Tiziano trionfava nell’Assunta dei Frari, Cima ripeteva instancabile le sue dolci e sublimi formule.
Documentato per l’ultima volta a Conegliano nel 1516, quando effettua la dichiarazione delle tasse, muore tra il 2 ottobre 1517 e il novembre 1518, come desumibile dagli ultimi due certificati conosciuti.