Cima da Conegliano, il poeta del paesaggio.
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Ottobre 5, 2014By Aldo Ghirardello
Con i suoi quattro libri sulla architettura e diventato 4 secoli dopo la sua morte il padre dell architectura americana. Andrea Palladio e tutt ora l’ archistar di riferimento per gli architetti americani dai tempi delle Colonie ad oggi
Andrea di Pietro della Gondola (Padova 1508 – Maser, Treviso 1580) meglio conosciuto come
Andrea Palladio, probabilmente sarebbe rimasto un’abile tagliapietre capace forse di disegnare portali e monumenti funebri se non fosse per la figura importantissima, nella sua formazione, dell’umanista Gian Giorgio Trissino il quale, non solo lo ribattezzò con il sofisticato nome intriso di erudizione classica che oggi conosciamo ma lo introdusse più volte nella temperie culturale della Roma del cinquecento, aprendo così la strada alla maturazione del suo originale linguaggio architettonico che tanta fortuna ebbe nei secoli successivi in Europa e nel mondo.
Il Trissino, vicentino di nobile famiglia, poeta e tragediografo, umansta e diplomatico papale interessato egli stesso all’architettura, non solo scoprì il giovane scalpellino durante i lavori nella sua villa suburbana di Circoli ma ne divenne il mentore ponendolo sotto la sua ala protettrice e ribattezzandolo appunto Palladio.
Il nome Palladio, oltre a far riferimento alla mitologia greca in quanto Pallade Atena era la dea della sapienza della saggezza delle arti, deriverebbe dall’angelo vittorioso e liberatore presente nel poema epico “L’Italia liberata dai Goti” composto dallo stesso Trissino.
Andrea , di umili origini, il padre era mugnaio, prima del fortunato incontro con il letterato vicentino avvenuto tra il 1535 ed il 1538 iniziò il suo apprendistato a Padova come scalpellino, successivamente si trasferì con la famiglia a Vicenza dove continuò il lavoro di bottega per circa una dozzina d’anni.
Il sodalizio con il Trissino, come già accennato fu fondamentale per la sua formazione di architetto e continuò fino alla morte dell’illuminato protettore avvenuta nel 1550. Con lui ebbe modo di conoscere a Roma le architetture di Bramante, Raffaello e quelle recentissime di Michelangelo, studiò i monumenti classici rilevandoli e disegnandone piante, prospetti e molti di questi disegni divennero parte integrante del suo successivo trattato “I quattro libri dell’architettura” pubblicato a Venezia nel 1570.
Alla morte del Trissino un’altra figura segnò la sua fortuna di architetto ed è quella del patriarca di Aquileia Daniele Barbaro traduttore e commentatore dal latino del celeberrimo “De architectura” di Vitruvio e per il quale disegnò le illustrazioni. È grazie al Barbaro che Palladio iniziò a lavorare a Venezia nel campo dell’architettura religiosa e la sua fama crebbe tanto da assumere nel 1570 la prestigiosa carica di “Proto” della serenissima ovvero di architetto capo della Repubblica di Venezia subentrando al grande Jacopo Sansovino.
Palladio morì nel 1580 in condizione economiche piuttosto precarie e con diversi cantieri solo parzialmente realizzati alcuni dei quali come la Rotonda ed il Teatro Olimpico vennero ultimati da uno dei maggiori prosecutori del suo inconfondibile linguaggio, l’architetto Vincenzo Scamozzi di quarant’anni più giovane e con un rapporto conflittuale di invidia ed ammirazione nei confronti del grande maestro, similmente quello che Salieri fu per Mozart in campo musicale. Un rapporto difficile ma che contribuì a perpetuare, anche se in modo meno scenografico, il linguaggio del maestro a cavallo tra 500 e 600.
Il linguaggio Palladiano non fu, infatti, solo l’espressione culturale strettamente legata alla rappresentazione del potere, della ricchezza, del prestigio dell’aristocrazia veneta del Cinquecento ma trovò applicazione e divenne modello di buona parte dell’architettura inglese ed americana tra il XVI e il XVII secolo colonie comprese.
Nel dibattito, caro al Cinquecento, del rapporto tra civiltà e natura il Palladio teorizza una perfetta armonia ed equilibrio tra le due entità affermando il profondo senso naturale della civiltà e della storia. Ecco spiegata la straordinaria fortuna che il pensiero e l’opera del Palladio hanno avuto in epoca illuminista che riafferma ed insiste sul fondamento naturale della civiltà umana
Sono infatti neopalladiani molti edifici costruiti nei neonati Stati Uniti d’America come la Casa Bianca ed il Campidoglio a Washington o certi edifici di Monticello in Virginia. Neopalladiani sono pure la Redwood Library (1747) e la Marble House a Newport, l’Università della Virginia a Charlottesville, la Piantagione Woodlawn ad Assumption in Louisiana.
Un modello ben riuscito di “made in Italy”, si direbbe oggi, dalle ripercussioni certamente inaspettate per l’architetto e trattatista padovano, in quale non poteva certo immaginare che cinque secoli dopo, ed esattamente il 6 dicembre 2010, con voto unanime dei due rami del Congresso Usa e la sottoscrizione della Concurrent Resolution 259 si riconoscesse in Palladio il “padre” dell’architettura americana definendo i suoi “Quattro Libri dell’Architettura” come la più importante pubblicazione di architettura d’ogni tempo, modello per l’immagine architettonica del mondo Occidentale, e fonte primaria per gli architetti americani dai tempi delle Colonie ad oggi.
Ma quali sono le opere più rappresentative di questo grande architetto?
Sicuramente lo ricordiamo per i progetti strutturalmente difficili come la Basilica di Vicenza, per i numerosi palazzi cittadini che caratterizzano il centro storico delle principali città dell’entroterra Veneto, Vicenza in primis, per le orami celeberrime chiese veneziane del Redentore e di San Giorgio così riprodotte da diventare vere e proprie icone nello skyline veneziano, per il superbo Teatro Olimpico terminato dopo la sua morte sempre a Vicenza, tanto per citare gli esempi più ovvi, ma non dobbiamo dimenticare che la fama e la reputazione del Palladio si basano soprattutto sulla sua straordinaria capacità nella progettazione di ville.
Sono queste case immerse nella campagna veneta e che con essa si fondono, funzionali ed auliche ad un tempo che sottendono una progettazione limpida e chiara come la luce che innonda i loro interni a diventare modello di razionalità e sinonimo di civiltà tipico alla cultura britannica prima e di quella americana poi.
Queste splendide dimore come villa Capra, detta La Rotonda, negli immediati dintorni di Vicenza; villa Barbaro a Maser, presso Treviso; La Malcontenta a Mira, vicino a Venezia esprimono bene gli ideali e gli interessi dei loro ricchi proprietari, da una parte fungono da luoghi di svago e di riposo dalla stressante vita cittadina dall’altra devono assolvere la funzione di controllo dell’attività produttiva dei latifondi.
In esse devono trovare posto, nelle così dette “barchesse” (i profondi porticati in cui si aprono varie stanze di servizio posti ai lati della facciata principale), ambienti per i contadini, per gli attrezzi per gli animali per il grano, ma anche luoghi di delizie come la caccia, i ricevimenti i concerti all’ombra del sole estivo.
Ambienti di una ricchezza mai ostentata, anzi sobria nell’uso funzionale degli spazi articolati attorno ad un vano centrale che funge da sala di rappresentanza, nell’amore per la simmetria e la chiarezza compositiva, nel repertorio classico di elementi decorativi come colonne, modanature frontoni, sistemi di coperture tratte dai templi romani e greci.
La villa palladiana non è un palazzo di città portato in campagna ma un organismo nuovo di dimensioni umane funzionale ed equilibrato dove la gioia di vivere che traspare dai colori degli affreschi interni (da non perdere quelli nella villa Barbaro a Maser eseguiti dal Veronese), si stempera con il rigore intellettuale di uno tra i protagonisti assoluti dell’architettura del ‘500.
E’ la villa intesa come spazio razionale e naturale ad un tempo, luogo svincolato dagli orpelli religiosi tanto quanto dalla tirannia dispotica del palazzo di città ad interessare gli Stati Uniti che vedono in essa l’espressione più efficace della libertà intesa come valore supremo e di un modello di laicità che ben si adatta alle esigenze dei tempi che mutano.
Un percorso lungo e complesso, in conclusione, quello del “modello palladiano” in un’arco di tempo che dal Cinquecento trova risonanze persino nella modernità ad esempio in maestri del calibro di LeCorbusier il quale ne ammirò il metodo, ed oltre, in tempi più recenti, nel pensiero
post-moderno con la sua libertà stilistica ed il suo sbandierato anacronismo.
Percorsi, influenze, contaminazioni, rielaborazioni, che attestano Palladio come uno dei cardini, ancora attuali, del pensiero progettuale in occidente.