Kem Issara: Fashion and Business in the 21st Century
Marzo 7, 2015Gli Angeli nel Paganesimo
Aprile 6, 2015Il colosso economico cinese, a dispetto della sua politica autoritaria, vanta ancora personalità artistiche originali che fondono, nelle loro opere, il meglio della propria millenaria tradizione con gli aspetti più contemporanei del mondo globalizzato. In previsione della sua prossima partecipazione alla Biennale 2015 di Venezia, Laura Carniello ha intervistato per Dantemag un artista che incarna al meglio queste caratteristiche: il carismatico Qin Chong.
La cinquantacinquesima edizione della Biennale d’arte di Venezia, nel 2013, ha aperto i suoi spazi espositivi a un gran numero di artisti cinesi emergenti o affermati, tra i quali ha presenziato anche il noto Qin Chong, eclettico artista di Pechino. Quattro delle sue sculture di carta sono state esposte a Palazzo Bembo, dove era stata allestita la mostra “Personal Structures”. Gli obiettivi artistici di Qin Chong si conformavano perfettamente al concetto generale dell’esposizione, poiché lo stile e le tecniche mostrate nelle sue opere, discostandosi in modo netto dalle tendenze principali dell’arte contemporanea cinese, rivelano un percorso individuale non convenzionale, verso una reinvenzione della tradizione del paese. In occasione di questo evento ho avuto l’occasione di trascorrere due intense giornate con Qin Chong, affiancandolo durante l’inaugurazione di “Personal Structures”. Insieme abbiamo visitato i padiglioni della Biennale discutendo il valore e il significato delle opere esibite, nonché parlato di poesia e filosofia cinese gustando un genuino piatto di cucina italiana.
In ogni momento della nostra conversazione l’artista mi ha trasmesso la stessa spontaneità che traspare nelle sue opere. Qin Chong stesso fa riferimento a questo suo atteggiamento quando gli chiedo in che modo la tradizione culturale cinese influenzi la sua produzione artistica. Egli afferma: “così come il sangue scorre naturalmente attraverso le vene di ogni essere umano, l’essenza della mia cultura ha un’innata influenza su di me”.
Raccontandomi di come è nato il suo amore per l’arte, Qin Chong mi ha guidata attraverso i suoi ricordi più remoti: nato nelle campagne della provincia dello Xinjiang alla fine degli anni sessanta, finite le scuole medie si rese conto di come una buona formazione fosse fondamentale al fine di costruirsi un solido futuro professionale: “Anche se non ho avuto la possibilità di frequentare la scuola nelle migliori circostanze, l’arte ha avuto un forte impatto su di me fin dai primi anni della scuola elementare, a partire dalla mia primissima lezione d’arte.” racconta come se aprisse l’ album delle memorie -“Mi ricordo bene che quei bellissimi libri colorati furono distribuiti a tutti i miei compagni di classe, ma non a me, poiché i miei genitori erano discriminati durante il periodo della Rivoluzione Culturale per il loro status di proprietari terrieri e, in quanto tali, visti come nemici di classe agli occhi del Partito Comunista Cinese”.
Considerando che l’arte contemporanea ha avuto un tardo avvio in Cina, Qin Chong entra in contatto con questo mondo nel 1986, quando la scelse come materia di specializzazione all’Accademia d’Arte. In seguito, nel 1987, mentre conduceva i suoi studi a Pechino, decise di allestire il suo primo studio trasformando una stanzetta di soli dieci metri quadri nel punto di partenza delle sue attività artistiche. In questo “stanzino” trascorse, creando la sua arte, tutto il tempo libero dei tre anni di Accademia. “Solo nel 1994 riuscii a finire di pagare l’affitto al proprietario di quel posto.” dice sorridendo
Nel 1993 Qin Chong fonda una galleria d’arte contemporanea privata, l’Ammonal Gallery, all’interno del quartiere artistico di Pechino che sorge presso l’ex Palazzo d’Estate Yuan Ming Yuan. La sua storia continua così, come racconta lui stesso: “Nel 1999 mi trasferii a Berlino, dove svolsi la mia attività nell’edificio artistico Tacheles fino al 2001. In seguito, fino al 2005, lavorai presso la Künstlerhaus Mengerzeile.” Qin Chong ritiene che questa significativa esperienza tedesca fu la scintilla che accese la sua vera identità artistica: “ per quanto riguarda l’arte contemporanea, nel senso stretto del termine, fu solo in Germania che iniziò il mio percorso artistico.”
Dopo il 2005 Qin Chong decide di tornare in Cina, gratificato dai successi ottenuti per le sue esposizioni e con una maturata consapevolezza delle proprie possibilità creative. Nel 2007 e’ finalmente in grado di stabilire il suo studio a Songzhuang, quartiere artistico alla periferia est di Pechino, dove tutt’ora lavora.
Durante la sua carriera egli ha curato e contribuito a molte esposizioni, a livello nazionale ed internazionale, tra le quali si distinguono per importanza: “Chinese Art in Berlin” (Berlino 1997), “Young Art from China” (Amburgo 1998), la mostra individuale “Shadows” (Svizzera 2002), il primo Festival Internazionale “Beijing Dashanzhi” (2004), la trilogia di mostre individuali “Grey” (Shanghai), “Black” (Berlino) e “White” (Hong Kong), nel 2005, la quarta edizione della Biennale di Praga (2009), l’esposizione individuale “Whatever” (Canton e Hong Kong 2010), la Biennale Internazionale dell’Arte della Carta (Sofia, 2011), la mostra Personale “Endless Polarity” (2012) e l’esposizione presso Art Stage (Singapore 2013).
Nonostante Qin Chong abbia vissuto in stretto contatto con le tendenze artistiche contemporanee europee, dividendosi tra Pechino e i numerosi eventi berlinesi, l’essenza della sua arte risiede chiaramente nel cuore della cultura cinese. Il bianco e nero come principio di base, l’ armonia con lo spirito della propria tradizione sono i presupposti per uno stile ricco di significato e l’uso di materiali di tutti i tipi. I primi due elementi riflettono il profondo rispetto di Qin Chong per la cultura cinese. Questa innata connessione però non lo obbliga a rimanere intrappolato nel passato, né tantomeno gli impone limiti creativi, a tal proposito l’artista dice: “Ogni volta che mi dedico ad un’opera considero in primo luogo il messaggio che voglio comunicare, solo in un secondo momento, seleziono i materiali e le tecniche che meglio si adattano alla mia intenzione. Tutte le mie opere si differenziano l’una dall’altra per i materiali che utilizzo e per il modo in cui li sfrutto, tuttavia ognuna di esse rivela il mio linguaggio unico e personale. Sono una persona molto riflessiva ma traggo ispirazione dalla vita di ogni giorno.”
L’arte di Qin Chong è ricca di contrasti e dicotomie – bianco e nero, carta e fuoco, passato e futuro, vecchio e nuovo, concretezza e illusione, leggerezza e pesantezza. Un perfetto esempio di questa dialettica è una delle sue opere più rappresentative, l’installazione “Passato-Futuro”, esposta per la prima volta a Berlino nel 2002. La stessa opera fu ospitata in diverse mostre, a Pechino, Shanghai, Tokyo, Sofia e di recente presso la Galerie du Monde ad Hong Kong. L’installazione consiste in numerosi coni verticali di carta di altezze variabili con bordi bruciati, simbolo dell’incertezza del futuro a medio e lungo termine. Le ceneri sparse, alla base dei coni irregolari, sono l’emblema del silente e trascorso passato e vengono spazzate via dall’incedere dei visitatori della mostra, invitati a camminare vicino all’opera.
Lavorando sul senso degli opposti l’artista è alla continua ricerca di un equilibrio tra di essi. Egli osserva che “solo riflettendo sui due poli, nascita e morte, è possibile migliorare quello che vi scorre in mezzo, il presente della propria esistenza.” Oltre ad investigare il concetto di tempo, esplicito nel titolo dell’opera citata, l’intenzione di Qin Chong è quella di comunicare un senso di lotta tra materiali, tra significati, giocando con espedienti tecnici tipici del suo stile. Egli usa un elemento potente come il fuoco per gestire la fragilità e la delicatezza della carta, come rappresentato nelle sculture esposte alla cinquantacinquesima edizione della Biennale.
Un altro emblematico lavoro che racchiude il linguaggio artistico di Qin Chong è “Fino al limite” (2000), un’installazione composta da nove piedistalli di metallo sui quali l’artista ha realizzato motivi decorativi con gocce d’acqua, che evaporano lentamente nel corso dell’esibizione. Un’altra volta ci troviamo di fronte ad un esempio di doppio contrasto: la liscia e solida superficie dei piedistalli di metallo entra in contatto con le irregolari evanescenti gocce d’acqua. L’opera armonizza nove oggetti forgiati dall’uomo con l’elemento naturale più liberamente fruibile, l’acqua.
Le creazioni di Qin Chong nascono all’interno del tradizionale dualismo Yin e Yang, i principi contrastanti e complementari che permeano la percezione cinese della realtà: “I diecimila esseri portano sul dorso lo Yin e abbracciano lo Yang” (Laozi 42). E’ proprio questa la filosofia condivisa che si trova alla base di tutte le opere di Qin Chong, un’eredità culturale che egli possiede “geneticamente” in quanto cinese di nascita. Il modo in cui Qin Chong manipola la materia prima, che trova nei cinque elementi naturali (acqua, fuoco, metallo, terra e legno), rivela la sua insaziabile curiosità di esplorare nuove tecniche e forme d’arte.
Per quanto concerne la sua devozione per il bianco e nero, Qin Chong scrive: “In quest’epoca l’umanità si sta evolvendo così rapidamente, le notizie si diffondono alla velocità della luce, diverse culture si intrecciano, le società sono transitorie come il vento e le nubi, le persone sono sopraffatte da ogni tipo di pressione. Il mondo è così pieno di colori! Voglio trovare il mio equilibrio nel re e nella regina di tutti i colori, il nero e il bianco.”
Un percorso, questo, che inizia già alla fine degli anni novanta, quando l’artista decise di abbandonare l’uso di colori accesi ed abbracciò l’estetica indicativa del bianco e del nero, manifestando questa bicromia con una gran quantità di mezzi e tecniche diverse. La sua opera “Perdere” (2001), costituita da ventiquattro rotoli dipinti con la cenere, esprime la preoccupazione dell’umanità per il suo potere trasformativo sulla natura ed è un esempio lampante di arte radicata nella filosofia.
Il genio creativo di Qin Chong trascende la categoria “arte contemporanea”, nonostante risponda perfettamente ai suoi criteri valutativi. Per questo motivo, anche se apparentemente semplici, i suoi dipinti e le sue istallazioni sono dotati di un forte potere evocativo, nonché di una grande attrattiva nei confronti di un pubblico cinese ed occidentale. “Penso che non ci sia alcun bisogno di tentare di spiegare un’opera d’arte che non racconta la sua storia”- afferma l’artista.
Ammirando le sue opere dovremmo abbandonare ogni tentativo di definirle, ricorrendo a rigide classificazioni; quello che dovremmo fare è seguire l’esempio del loro creatore e contemplarle con spontaneità, permettendo loro di fare appello alle nostre emozioni piuttosto che alla nostra mente.
Qin Chong è la prova che la tradizione non muore mai, è un cigno nero in mezzo al crescente numero di artisti contemporanei che, diversamente, la sviliscono nel mito del “qui ed ora”. Tuttavia, ciò che incuriosisce maggiormente della sua arte, è il modo di rappresentare l’attuale condizione umana; da una parte ricorrendo ad elementi immortali della cultura cinese, dall’altra, cercando continuamente di mantenere la sua spontaneità e la sua natura sperimentale.
Qin Chong, con “Personal structure” esporra’ nuovamente a Palazzo Bembo in occasione della 56 Biennale di Venezia 2015 dal 9 maggio prossimo al 22 nov.