IL PRANZO DELLA DOMENICA
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Gennaio 15, 2016Durante il periodo natalizio, Dantemag ha portato in scena gli angeli e le visioni angeliche concentrandosi sulle tradizioni nelle religioni monoteistiche. Oggi invece, vogliamo esplorare la possibilità della loro parallela esistenza nelle tradizioni buddiste ed il loro significato in un percorso spirituale.
di Dawn Collins
Se le tradizioni buddiste definissero gli angeli come esseri creati senza un corpo materiale, come fa verosimilmente il cristianesimo, allora una vasta gamma di divinità e di spiriti potrebbero essere considerati tali. Tuttavia, come è stato sottolineato nelle precedenti pubblicazioni di Dantemag, anche se non tutti gli angeli sono forze del bene (come nel caso di Lucifero, il più famoso fra gli angeli caduti dal paradiso), con il termine “angeli” vengono, nel linguaggio comune, indicati i messaggeri di Dio, come per esempio Gabriele. Tali esseri possono apparire in sogno o nelle visioni annunciando grandi eventi, come, ad esempio, la nascita di Cristo, o portando premonizioni di eventuali pericoli. In questi casi, gli angeli sono contemporaneamente messaggeri di Dio e protettori di quanti hanno una missione benedetta da Dio.
Ebbene, questo tipo di angeli, proprio alle tradizioni monoteistiche, assomiglia all’idea buddista del Bodhisattva: un essere veramente grande e compassionevole, tanto evoluto sul percorso spirituale da raggiungere pienamente il risveglio, ovvero da poter essere completamente un Buddha, cosa che rappresenta l’apice del percorso buddista e la cui definizione caratteristica è quella della compassione. La parola Bodhisattva significa proprio questo: un essere sul cammino verso l’illuminazione. Questi esseri, anche se non “creati” in senso stretto da un dio, o formati dalla luce, sono comunque costituiti da qualcosa di molto più sottile del fango e terra da cui vengono i comuni mortali.
Secondo la scuola di pensiero buddista Mahayana, fondata dal filosofo Nāgārjuna che visse intorno al secondo e terzo secolo a.C, esistono innumerevoli Bodhisattva. Il loro percorso verso l’illuminazione comporta un grande impegno finalizzato ad ottenere il livello di realizzazione più alto, così da poter liberare tutti gli esseri dalle sofferenze della nostra ordinaria esistenza. In breve, la loro ragion d’essere è una nozione di grande compassione; un amore per gli altri, che supera ogni comprensione comune di altruismo.
Le narrazioni buddiste sono intrecciate da cantastorie di rara qualità e i loro numerosi aneddoti illustrano la compassione trascendente dei Bodhisattva: sono esseri santi, si potrebbe dire, angelici.
Nella tradizione indo-tibetana, forse il più noto e prevalentemente venerato è il Bodhisattva conosciuto come Avalokiteśvara; ovvero colui che ha 1000 braccia.
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Questo Bodhisattva, noto in tibetano come Chenrezig, ha 1000 braccia e 1000 occhi nei palmi delle mani, così da poter veder meglio tutti gli esseri sofferenti del mondo, al fine di poterli aiutare. L’idea di aiuto qui è intesa in un senso escatologico, ovvero nel suo senso di destinazione finale. L’aiuto offerto nasce dalla profonda compassione, così da andare ben oltre all’aiuto pratico nell’affrontare esigenze immediate. Il suo fine ultimo è quello di connettersi con altri esseri in un rapporto che permetta loro di raggiungere una più alta consapevolezza, ed insieme a questa, una completa liberazione dalla sofferenza.
I Dalai Lama del Tibet, una sequenza di governanti tibetani che risale a prima del 1950, sono visti dai buddisti tibetani come una serie di reincarnazioni dello stesso essere: il Bodhisattva Chenrezig. Come tale, il Dalai Lama è considerato la guida spirituale e protettiva alle popolazioni del Tibet e, di fatto, del mondo intero. Come si può vedere da questo esempio
i Bodhisattva come Chenrezig possono in qualche modo manifestarsi secondo la materia: partendo dai loro corpi eterei possono apparire ai comuni mortali in forme riconoscibili e con cui interagire.
Se applichiamo questa nozione buddista alla vita quotidiana, si mette in evidenza una delle sue caratteristiche più notevoli. A rigor di logica, se i Bodhisattva, che per natura sono esseri estremamente superiori e sacri, possono manifestarsi nelle forme comuni per il bene dell’umanità, ne consegue che ogni essere che incontriamo potrebbe esserne uno. Questo è forse chiarito meglio attraverso un altro aneddoto buddista: la storia di Asanga e del Bodhisattva Maitreya.
Asanga era un esperto indiano del quarto secolo, che divenne uno dei membri fondatori e principali esponenti della scuola del pensiero filosofico -buddhista Yogacara Mahayana. E ‘stato anche un grande meditatore. Ha trascorso non meno di dodici anni in una grotta tentando di realizzare Maitreya, ovvero con l’intenzione di incarnare le qualità del Bodhisattva Maitreya.
Il Bodhisattva Maitreya incarna il Bodhisattva altruistico ideale, nel senso che il nome stesso significa “amorevole gentilezza”. Secondo una profezia trovata fra le prime fonti testuali buddiste, il Canone Pali (Cakkavatisihanada Sutta, Digha Nikaya 26), in un’epoca in cui il mondo si trova in un posto eccezionalmente buio, Maitreya verrà a realizzare Buddha nella sua pienezza, e per rigenerare il pensiero buddhista, insegnando alla popolazione come metterlo in pratica.
Si racconta che durante i dodici anni in meditazione nella sua caverna, Asanga sperasse di ricevere un sogno o una visione di Maitreya, per poter essere rassicurato del valore e del progresso della sua pratica spirituale. Lo scopo di tale pratica di meditazione, come si è già accennato, è quello di realizzare le qualità della divinità in questione; in un certo senso, il diventare santo. Segni di successo in questo senso sono generalmente ritenuti i sogni e le visioni. In questo caso, Asanga non ne ebbe alcuno è così, durante il suo ritiro, circa ogni tre anni, arrivava al punto di rinunciare e di lasciare il suo luogo di meditazione. Ma qualcosa lo portava sempre indietro. Infine, al termine dei dodici anni, senza aver ricevuto sogni, visioni o alcun altro segno del Bodhisattva Maitreya, Asanga lasciò definitivamente la sua grotta in un miserabile sconforto. Lungo la strada, si imbatté in un cane ferito. I quarti posteriori dell’ animale erano in uno stato di decomposizione completa, crivellato dai vermi. Il cuore di Asanga si spezzò di compassione. Decise quindi di pulire le ferite del cane e di fare il possibile per il povero animale. In alcune versioni della storia ha tagliato un pezzo della sua stessa coscia per offrirla al cane come cibo, in altre per offrirla ai vermi in modo che non morissero di fame una volta rimossi dal corpo del cane. Togliendo le larve, Asanga si rese conto che, con le sue dita rischiava di schiacciare i corpi fragili dei vermi. Pertanto, con grande compassione sia per il cane e che per i vermi, decise di usare la sua lingua. E fu solo dopo il contatto nella carne in decomposizione che, sia il cane che i vermi sparirono, e Asanga ebbe finalmente la sua visione di Maitreya.
Quando Asanga chiese a Maitreya perché il Bodhisattva non gli era apparso in tutti quei dodici anni di ritiro in meditazione e pratica sincera, il Bodhisattva rispose di non aver mai lasciato il suo fianco. La morale di questa storia è, naturalmente, che il più elevato in tutti noi, gli esseri sacri e il meglio delle intenzioni altruistiche, si trova dentro noi ed è sempre al nostro fianco, se solo abbiamo occhi per vederlo. Una volta che le scorie della mente egoista e le sue illusioni sono rimosse attraverso il potere di trasformazione della meditazione, mescolato con l’amore, il potere di vedere ciò che è sempre stato lì sorge spontaneamente. Secondo un’ analogia buddista, come un loto dal fango.
Nel caso di Asanga fu solo quando i più profondi e sommersi amori altruistici sorsero nel suo cuore-mente che la visione angelica del Bodhisattva compassionevole a cui aspirava, poté diventare visibile.
Dawn Collins è un membro fondatore del Movimento Naturale (http://www.naturalmovement.org.uk) E’ ballerina professionista di formazione e terapista Shiatsu. La sua esperienza è stata applicata anche allo stadio accademico, nel quale ricerca i concetti di spirito e guarigione propri alle tradizioni tibetane. Fa parte di un gruppo di ricercatori chiamato Corpo Salute e Religione (http://www.bodyhealthreligion.org.uk/BAHAR/ index.html). Recenti pubblicazioni includono un capitolo sulla danza tibetana rituale, dal titolo Ballando con gli dei.
Altri riferimenti: Sogyal Rinpoche- Il libro tibetano del vivere e del morire, Geshe Lhundub Sopa con David Patt- Passi sul sentiero dell’Illuminazione, Victoria Huckenpahler (a cura di)- I Grandi Maestri: Kagyu. La stirpe d’oro