BREXIT! E se la Gran Bretagna con il suo referendum salvasse ancora una volta l’Europa?
Giugno 15, 2016Siezus Lazius Fortius
Agosto 4, 2016Ciò che sembra affliggere sempre più l’Europa unita negli ultimi anni, è paradossalmente quel tratto distintivo che ne aveva fatto un esempio unico sulla scena della comunità internazionale: il suo status.
di Cristiana Tosti
Il non essere uno Stato federale come gli Stati Uniti né un’organizzazione intergovernativa come l’Onu, bensì un organismo i cui stati membri condividono parzialmente la loro sovranità secondo i settori, attraverso delle istituzioni condivise, sembra averla collocata in un limbo che inevitabilmente affligge l’efficacia del suo operato, intaccando – a detta di molti – il concetto di democraticità e inducendo gli addetti ai lavori ad auspicare quanto prima una riforma, volta non solo a snellire gli ingranaggi ma anche e soprattutto ad apportare alle istituzioni quel giusto mix di modernizzazione e apertura propedeutico a un decision-making, concreta voce dell’elettorato europeo.
Il Deficit democratico è additato come il male da sconfiggere e il Parlamento Europeo – espressione diretta della volontà dei cittadini degli Stati membri – come la prima delle istituzioni messa sotto accusa per le sue debolezze strutturali. Viene da sé affermare che la costante revisione di regole, leggi, meccanismi nel corso del tempo dovrebbe essere imperativa a prescindere, proprio per evitare che dettami anacronistici e sclerotizzazioni ostacolino il passo della naturale evoluzione.
Questo è effettivamente accaduto all’Europa, stando alla spiegazione di Jo Leine, MPE per la Gerrmania (PSD): nel corso degli anni passati, L’Unione Europea si è trovata ad affrontare numerose crisi senza avere le necessarie competenze e strumenti per gestirle con successo. Che si sia trattato o che tuttora si tratti di crisi economiche, sfide geopolitiche o problemi con il flusso dei rifugiati, i Trattati dell’UE non forniscono un sufficiente supporto giuridico alle istituzioni comunitarie per intraprendere delle scelte in quei settori. Di conseguenza, molte decisioni sono state prese secondo una modalità puramente intergovernativa invece di utilizzare il metodo comunitario, quindi avvalendosi di una misura di emergenza che dovrebbe rappresentare una rara eccezione, piuttosto che la norma.
Per quanto riguarda il famigerato deficit, il punto di vista di Leinen dimostra che probabilmente il clamore mediatico che ruota intorno al progetto Europa rischia spesso di alterare/amplificare il reale status quo. Sarebbe scorretto, dal punto di vista pratico, parlare di una vera e propria assenza di democraticità per l’Europa, poiché il sistema in sé non sembra trasgredire alcuna regola: il Parlamento Europeo è eletto secondo libere elezioni, il Consiglio è composto di Capi di Governo che hanno vinto le elezioni nei loro rispettivi Paesi e restano in carica fino a che detengono il supporto della maggioranza, la Commissione è nominata dai governi degli Stati membri ma i commissari devono essere confermati attraverso complesse consultazioni parlamentari, il Presidente è designato dal gruppo parlamentare più ampio e deve ricevere un voto di maggioranza dal Parlamento.
Dove risiede allora questo problema di democraticità? Stando ai fatti, sono i cittadini europei a percepire questo deficit e a provare una sensazione di malcontento. Come l’europarlamentare tedesco afferma, ciò può essere spiegato in parte con la distanza tra i cittadini stessi e i rappresentanti europei a Bruxelles, incrementatasi con la sempre più frequente adozione del metodo intergovernativo e la mancanza di una vera sfera pubblica europea. Da quando le elezioni europee sono condotte secondo 28 differenti sistemi di regole, per cui solo i partiti nazionali possono inviare candidati al Parlamento Europeo, la campagna elettorale rimane focalizzata sull’Agenda nazionale invece di dibattere e incentrarsi su scelte politiche riguardanti questioni di più ampia matrice europea.
Sembra chiaro che alla base del problema ci siano il Parlamento e la legge elettorale che lo governa: esso è l’istituzione direttamente eletta e rappresentativa per eccellenza dei cittadini europei, ma quella verso cui paradossalmente questi ultimi nutrono maggiore sfiducia. E proprio l’europarlamentare tedesco – in collaborazione con la collega Danuta Hubner (Piattaforma Civica) – nel novembre 2015 si è reso protagonista di un’importante proposta di riforma della legge elettorale, atta a garantire più apertura al sistema: qualora fosse accettata, nella migliore delle ipotesi potrebbe già essere il caposaldo cui fare riferimento alle elezioni del 2019.
Questa riforma, a detta di Leinen, mira a compiere un passo in avanti verso una sfera pubblica europea, una sorta di singolo “mercato politico” che dia maggiore visibilità ai partiti politici europei, aggiungendo all’Agenda questioni di portata europea e aggiungendo una dimensione più europea alle stesse elezioni .
È di vitale importanza che il Parlamento europeo non sia marginalizzato e abbia voce in capitolo in ogni maggiore decisione politica, come previsto dal trattato di Lisbona, e che l’elezione dei suoi membri avvenga in maniera differente. S’insiste particolarmente sul fatto che, affinché il tutto riacquisti la dovuta credibilità, non sia sufficiente cambiare la modalità elettiva ma anche tutto il sistema mediatico che ruota intorno ad essa, per fare in modo che i candidati non siano degli sconosciuti agli occhi degli elettori.
Un esempio per tutti: durante le campagne elettorali dei principali candidati alle elezioni europee del 2014, molti cittadini non sapevano come supportare un particolare candidato per l’ufficio del Presidente di Commissione. Mentre Martin Schulz era il candidato per il PSE e Jean-Claude Junker del PPE, i nomi e i loghi dei partiti politici europei non erano visibili né sul materiale per le campagne dei partiti nazionali né sulle schede di voto. La visibilità dei partiti politici europei sulla scheda di voto dovrebbe essere obbligatoria, i partiti nazionali – a loro volta – dovrebbero fare riferimento al proprio partito politico europeo affiliato, specialmente per ciò che concerne poster, volantini, spot televisivi e radiofonici. Gli Stati membri dovrebbero essere ulteriormente incoraggiati, insomma, a facilitare la partecipazione dei partiti politici europei nelle campagne elettorali.
A ciò si aggiunga la necessità di incentivare ulteriormente le regole di trasparenza: medesima scadenza per la presentazione dei candidati per garantire a tutti i votanti il giusto tempo necessario per essere adeguatamente informati, evitando improponibili candidature last-minute, chiusura dei seggi allo stesso momento con pubblicazione simultanea delle prime proiezioni, pari opportunità di candidatura, diritto di voto garantito a tutti i cittadini UE residenti in Paesi terzi.
Al momento, solo pochi principi di base sono stati codificati a livello europeo come ad esempio il principio di rappresentanza proporzionale. Il derivante livello di eterogeneità nelle leggi elettorali nazionali è in conflitto con la nozione di cittadinanza europea e il principio di equità.
“Mentre l’armonizzazione non è un fine in sé, i cittadini dell’Unione devono essere in grado di esercitare i loro diritti di voto con rispetto dei principi democratici, a prescindere dalla cittadinanza nazionale”.
A detta del Co-rapporteur, non è facile prevedere il tipo di riscontro riservato a questa proposta di riforma, soprattutto in virtù del fatto che novità di questo tipo non sono sempre accolte con entusiasmo dai governi degli Stati membri ancor più ora che, visti i crescenti movimenti nazionalistici, il rischio è di essere tacciati come troppo “ pan-europei”.
Come si prospetta, alla luce di questi possibili cambiamenti, il futuro dell’Europa? Riuscirà a sincronizzarsi con le sempre più complicate sfide della comunità globale e a gestire l’eterogeneità e le latenti forze centripete che minano la compattezza della sua identità?
Il pensiero di Leinen è un misto di lucidità e consapevolezza: una grande capacità di collaborazione, compattezza e dialogo saranno richiesti sia agli addetti ai lavori sia a noi cittadini europei, soggetti auspicabilmente sempre più attivi e coinvolti in questo progetto comune.
“Ho sempre combattuto per creare una sfera pubblica europea. Senza cittadini in grado di dibattere oltre i confini, una democrazia europea reale appare impossibile. Per alcune sfide sono previste solo soluzioni europee ma queste devono essere definite e dibattute tra i cittadini lungo tutta l’Europa: si sta discutendo troppo l’uno dell’altro, mentre si dovrebbe invece discutere con l’altro. L’Unione Europea è una comunità di Stati ma anche di Persone e Cittadini. Entrambi sono ugualmente importanti risorse per la legittimità dell’Unione Europea e il principio per cui l’UE può solo esercitare poteri conferiti dai suoi membri rimarrà una sue delle caratteristiche di base. Il trattato di Lisbona ha esteso il voto a maggioranza in maniera considerevole e solo poche aree politiche richiedono decisioni unanimi, tuttavia la possibilità di veto persiste in molti ambiti. Anche se i trattati prevedono una votazione a maggioranza qualificata, troppo spesso il Consiglio decide per consenso, che molte volte porta al minimo comune denominatore anziché alla migliore soluzione”.
Parlando di prospettive future non dimentichiamoci del Regno Unito, da sempre una grande incognita e ora in una posizione di standby per il risultato delle negoziazioni con gli altri Stati membri sulle riforme e il successivo referendum, che con il consueto euroscetticismo o magari con un inaspettato coinvolgimento attivo nel rinnovamento europeo, potrebbe giocare un ruolo non indifferente nella ridefinizione dell’assetto identitario europeo.