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Le sue 114 stanze hanno ospitato dogi, re, imperatori. Per lei, l’11 gennaio 1807, Napoleone sborsò 1.901.000 di lire venete. Nei suoi giardini passeggiarono, tra gli altri, Richard Wagner, lo Zar di Russia Alessandro I, il Re di Napoli Ferdinando II. Gabriele D’Annunzio vi ambientò una delle scene più importanti del suo romanzo “Il Fuoco”. Hitler e Mussolini la scelsero per il loro primo incontro ufficiale, nel 1934. Affacciata sulla Riviera del Brenta, il fiume come estensione utopistica del Canal Grande di Venezia, Villa Pisani è una delle perle del patrimonio italiano.
Chiamarla Museo, perché a conti fatti è un museo nazionale, è assai riduttivo.
La vita in villa si ritrova nelle decorazioni delle sale settecentesche, dalla sala del trionfo di Bacco a quelle della villeggiatura e delle arti. Una volta attraversata la sfarzosa sala da ballo, si arriva all’appartamento napoleonico, in cui si erge sovrano il grande letto a baldacchino con il fregio dell’imperatore.
Dalla finestra della stanza lo sguardo si perde nel verde per fermarsi inevitabilmente alla facciata delle scuderie, palcoscenico di sfondo dove Carlo Goldoni inscenava le sue commedie.
Senza nulla togliere alle opere d’arte e agli arredi del ‘700 e dell’ ‘800, tra cui il soffitto della sala da ballo affrescato da Giovanbattista Tiepolo, a stupire il visitatore è il parco: adagiato lungo un’intera ansa del Naviglio del Brenta, il parco di Villa Pisani si estende per 11 ettari. La sua realizzazione è antecedente alla villa stessa per mano dell’Architetto Girolamo Frigimelica de’ Roberti, autore anche del famoso labirinto.
Per chi abbia visitato Parigi l’associazione ideale con Versailles, pur con tutte le limitazioni del caso, è quasi automatica.
E’ illusione ottica, ma non troppo: le lunghe prospettive richiamano proprio il modello francese. Facile immaginare dame e cavalieri passeggiare tra i viali, in un’affascinante sospensione temporale.
Il labirinto d’amore di Villa Pisani è uno dei tre labirinti in siepe sopravvissuti fino a oggi in Italia. Al suo interno, attraverso il lungo e complicato percorso in cui ci si continua a perdere anche ai giorni nostri, aveva luogo il gioco tra dama e cavaliere: la dama saliva sulla torretta centrale con il volto mascherato e il cavaliere aveva il compito di raggiungerla per svelarne l’identità segreta.
E poi l’orangerie, cui si accede attraverso un cancello ottocentesco, sorvegliato da due cani in pietra d’Istria. Secondo la mitologia, la forza di Ercole derivava dagli agrumi: cibarsi di arance e limoni divenne quindi fondamentale nella dieta di ogni Doge o del Re.
Per giungere all’orangerie si deve attraversare l’esedra, un padiglione settecentesco al centro di sei viali prospettici convergenti, che passano per i grandi archi aperti nei suoi sei lati concavi. Salendo una scala a chiocciola, nascosta da una torretta, si arriva alla terrazza, la cui balaustra è coronata da 12 statue raffiguranti le arti liberali e personaggi agresti.
Infine il boschetto, a ovest delle scuderie, iniziato in epoca napoleonica e completato dagli Austriaci nel 1820: i sentieri serpeggianti nella folta vegetazione riconducono il visitatore alla piscina, luogo di partenza di un itinerario che, pur percorso mille e mille volte, riserva sempre nuove incredibili sorprese.