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Nel Nord-Est Italia l’equipe padovana ha sottoposto a screening 44.411 neonati tra il 2015 e il 2017. Il Professor Alberto Burina: “L’efficacia della terapia è riconosciuta come maggiore se la diagnosi è precoce, a oggi due piccoli pazienti sono stati diagnosticati nella prima settimana di vita e certamente questo screening si è dimostrato fondamentale per la loro vita”
Il gruppo di lavoro padovano coordinato dal Prof. Alberto Burlina segna un punto importante a supporto dell’applicazione dei protocolli di screening alle malattie da accumulo lisosomiale in epoca neonatale, grazie ai risultati di un recente lavoro pubblicato dalla rivista Journal of Inherited Metabolic Diseases, la più importante rivista internazionale nel campo delle malattie metaboliche ereditarie.
Spiega Burlina, Direttore dell’U.O.C. Malattie Metaboliche Ereditarie dell’Azienda Ospedaliera e responsabile del programma Screening Neonatale allargato per le Malattie Metaboliche Ereditarie della Regione Veneto: “L’idea di allargare il concetto di screening neonatale anche ad altre malattie che non fossero solo quelle del pannello previsto dalla legge italiana nasce dalla precedente esperienza fatta negli Stati Uniti dove è stato appurato che alcune di queste malattie lisosomiali hanno, per incidenza o per possibilità terapeutiche, un impatto pari a quello di altre malattie presenti nel concetto di screening neonatale”.
Questa esperienza, la prima in Europa per numerosità del campione, è stata condotta dall’equipe padovana che ha sottoposto a screening 44.411 neonati tra il 2015 e il 2017 nel Nord-Est Italia, utilizzando una piattaforma d’analisi già attiva nel laboratorio per oltre 40 malattie ereditarie. Lo studio si è basato sulla ricerca, in una goccia di sangue della grandezza di mezzo centimetro, di quattro enzimi che provocano la malattia di Fabry, quella di Gaucher, quella di Pompe e la Mucopolisaccaridosi di tipo 1.
Novità assoluta è stata di aggiungere alla ricerca dei quattro enzimi principali per le quattro malattie altri biomarkers cioè indicatori specifici di malattia presenti nel sangue che sono stati sviluppati nel nostro laboratorio e in grado di valutare la gravità della malattia. I risultati del lavoro parlano chiaro: per 40 neonati risultati positivi allo screening, è stato eseguito un test di conferma, da cui è emersa la diagnosi di malattia lisosomiale per 10 di loro: 2 sono risultati affetti da malattia di Pompe, 2 da malattia di Gaucher, 5 da malattia di Fabry e 1 da mucopolisaccaridosi.
In tutto questo non si può trascurare l’evidente vantaggio nel rapporto costo-beneficio. “Per tutte le malattie lisosomiali comprese in questo pannello aggiuntivo c’è una terapia – prosegue il Prof. Burlina – e l’efficacia della terapia è riconosciuta come maggiore se la diagnosi è precoce. Ad esempio, lo screening include una grave malattia del cuore nota come malattia di Pompe che comporta la morte nei primi mesi di vita e la cui efficacia terapeutica è indubbiamente più alta se la diagnosi viene posta nei primi 15 giorni di vita mentre si riduce notevolmente se solo la malattia viene riscontrata successivamente. Ad oggi due di questi piccoli pazienti sono stati diagnosticati nella prima settimana di vita e certamente questo screening si è dimostrato fondamentale per la loro vita”.
Lo screening neonatale per la prevenzione e cura delle malattie ereditarie è legge dal 2016. Una legge innovativa che indica che per tutti i neonati, in tutti i centri di nascita (pubblici, privati o a domicilio) indipendentemente dalla nazionalità, ci siano degli accertamenti diagnostici per 40 malattie metaboliche ereditarie per le quali una terapia potrebbe rivelarsi fondamentale. La Regione del Veneto ha attivato questo programma di screening già dal gennaio 2014 e ha inoltre proposto – oltre alle malattie che oggi sono contenute nella legge – un gruppo di patologie chiamate malattie lisosomiali. Queste malattie sono dovute a deficit di enzimi specifici che comportano gravi danni a organi vitali quali cervello, cuore, fegato. Per alcune di queste malattie le manifestazioni cliniche sono presenti già nei primi giorni di vita e l’inizio della terapia si dimostra salvavita per questi pazienti. Ad oggi però gli studi sono ancora limitati e per lo più basati su esperienze di alcuni Centri negli Stati Uniti per la difficoltà di analisi capaci di individuare i pazienti già alla nascita. Il recente studio condotto dai ricercatori padovani della Regione Veneto, a cui hanno aderito successivamente anche la Regione Friuli Venezia Giulia e la Provincia Autonoma di Trento, attesta il delicato ruolo svolto dall’Azienda Ospedaliera di Padova nel campo delle malattie rare, un contributo importante sia per l’Italia sia per l’Europa.
Fonte: ufficio stampa Azienda Ospedaliera Università di Padova