Rughe! Ripariamo i danni naturalmente
Settembre 26, 2017Belinda Wilson Il viaggio di una donna.
Ottobre 16, 2017La conquista del vecchio continente a passo di danza. La Legión Malambo in finale a Tu Si Que Vales. Standing ovation alla fine dell’esibizione, consenso unanime di giudici e pubblico con il 100%.
È un ballo che trascina, il Malambo. Sono piedi che cantano una melodia ritmata cui è impossibile sottrarsi. È un gioco di gambe, ginocchia, caviglie, postura, equilibrio. È una sfida perenne alla gravità perché solo guardandolo, il Malambo ti fa volare nelle infinite notti delle pampas argentine al ritmo delle guittarreadas, sentendo sulla pelle il calore del crepitio del fuoco. Anche se sei seduto nella platea di un teatro.
È impossibile non andare col pensiero all’eleganza mista a forza dei passi del cavallo, compagno dei gauchos della pampa, fazzoletto al collo, pantaloni larghi e stivali particolarissimi capaci di suonare una melodia immortale.
L’esibizione a Tu Si Que Vales di sabato 30 settembre: http://www.wittytv.it/tu-si-que-vales/legion-malambo/
È incredibile come tutto il mondo conosca tango e flamenco e non balli il Malambo, già richiestissimo nei locali alla moda di Londra, Los Angeles e New York, ballato da JLo, Antonio Banderas, Demi Moore, Melanie Griffith. Al Ministry of Sound di Londra, per esempio, è ormai un must. Nato come danza maschile nel 1800 per allontanare le avversità, il Malambo era accompagnato dal solo suono delle chitarre e dei bombos. Non esistevano liriche. A cantare, bastavano i piedi. Solo nel 1940 è stato permesso alle donne di unirsi agli uomini.
In Italia e in Grecia il Malambo è arrivato con Fabián Serna, coreografo, ballerino, attore, direttore artistico ma soprattutto leader e anima della Legión Malambo.
Fabián considera la sua arte una benedizione: quando vedi ballare lui e gli artisti della Legión, ti senti benedetto anche tu. Nei due mesi in cui hanno portato il Malambo in Europa all’interno dello spettacolo Raices Tango, non c’è stata una volta in cui il pubblico, di qualunque età, non abbia reagito con standing ovation, urla di gioia a scena aperta, applausi interminabili. C’è chi l’ha definito “una scarica di adrenalina pura”. Da Milano, Verona e Roma i flash mob del Malambo con Traspié (i passi della milonga) hanno raggiunto ogni angolo della Terra, con milioni e milioni di visualizzazioni.
Quando Fabián Serna sale sul palco per l’assolo, è accolto da un silenzio carico di curiosità. Ai primi zapateos, ossia il battere dei tacchi sul palcoscenico, una muta sorpresa. Poi comincia l’avventura. Lo spettatore stupito assiste a evoluzioni di gambe e piedi quasi impossibili da descrivere: la prima cosa che pensi è che quelle gambe, quei piedi, si muovano a un ritmo che ha molto di sovrannaturale e ben poco di umano. Perché c’è velocità, c’è sincronia, c’è un vortice che ti prende e ti trasporta in un altro mondo. Insomma ragazzi, il Malambo è eccitante, travolgente, dirompente. In una parola, questa danza folkloristica argentina “vecchia” di tre secoli è, semplicemente, VITA.
Alla fine della “prima” a Roma, ho visto Fabián Serna commuoversi e ho pensato che quando dai tutto, quando spendi tutto te stesso per regalare un sogno a chi ti guarda, e questo qualcuno ti ricambia con così grandi esplosioni di gioia, allora puoi solo piangere, perché con la tua arte hai raggiunto l’anima più profonda di un altro essere umano. “Quando ballo sparisco, muoio e risuscito sul palcoscenico, mi spoglio, do letteralmente la vita e la mia emozione emerge in superficie perché possa condividerla con il pubblico. Se il pubblico si emoziona con me, se arriva a sentire ciò che sento, allora starà anche volando insieme a me”.
Questo è il grande dono dell’Arte.
Il Malambo della Legión è anche femmina, interpretato da due giovani bellezze argentine, Julieta Belatti e Marina Villalba, che nulla hanno da invidiare ai compagni per destrezza, abilità e capacità artistiche. Già ti stupisci nel vedere le loro caviglie piegarsi a ritmi incredibili, figurarsi poi quando le vedi suonare i bombos nell’accompagnare l’esibizione maschile o quando te le ritrovi a roteare le bolas con una forza, un’eleganza e una maestria senza pari. “Le donne della Legión eseguono il Malambo con la stessa disciplina, destrezza e rigore degli uomini, aggiungendo in più femminilità e altre qualità del movimento – dice Fabián – sono donne forti paragonabili alle danzatrici di flamenco”. Le bolas (dallo spagnolo portoghese bola, palla) sono cordicelle o lacci di cuoio alle cui estremità sono legate delle palle di circa 10 cm di diametro da un lato. Immaginatele roteare a velocità elevatissime sopra la testa, in verticale, di lato, lanciate in aria dalle mani, o fate volteggiare con la bocca. Per la cronaca, in origine erano un’arma e uno strumento di caccia. Ed è al suono delle bolas cadenzate a terra, assieme al ritmo dei piedi, quando otto persone si muovono come una sola, che capisci quanto duro lavoro, quanto allenamento, quanta fatica si nasconda dietro a uno spettacolo a dir poco straordinario.
Fabián Serna è “una persona innamorata dell’arte e grata a Dio per essere un artista”. La Legión Malambo è la sua creatura, nata nel 2015, di cui attualmente fanno parte, assieme a Julieta e Marina, anche Matiás Sanchez Gajo, Pablo Enriquez, Nicolás Rivas, Leandro Nicolás Robles e Leandro Suarez, per gli amici, “El Chino”.
“Legión Malambo nasce dal concetto di gruppo unito, un corpo di élite di guerrieri della vita, sono gladiatori, che, insieme, lavorano duramente, controvento e controcorrente per raggiungere i propri obiettivi e coronare i propri sogni senza mai perdere fede, amore e passione. Sono una legione di artisti sognatori e gran lavoratori per quanto riguarda la nostra cultura. Persone che hanno il mio rispetto e la mia gratitudine più sinceri per la fiducia che ripongono in me, per credere e accompagnarmi in ciascuno dei miei progetti. I ballerini che fanno parte della compagnia devono aver voglia di imparare, di lavorare con la responsabilità e il rispetto che questa professione merita e necessita. Come direttore artistico do priorità a entusiasmo, onestà, codici, valori e sforzi, prima ancora che al talento. Devono essere buoni compagni e colleghi. Devono avere la voglia, la serietà e la capacità di lavorare insieme per raggiungere gli obiettivi che ci prefissiamo e, fondamentalmente, devono avere umiltà e amore per quello che fanno”.
E che ci sia amore per l’arte, all’interno di questo gruppo che va dai 23 ai 33 anni, è indiscusso. Anche quando ci si appresta al contrapunto, la sfida, che vede fronteggiarsi Pablo, Nicolás e El Chino con Fabián, Nikito (Leandro Nicolás) e Matias. Se già sembra impossibile interpretare il Malambo singolarmente, immaginate tre uomini contro tre confrontarsi a colpi di zapateos con una sincronicità assurda. E uso il termine assurda perché vi invito a immaginare tre corpi, praticamente quasi fermi con il busto, muovere sei gambe come fossero una sola roteando caviglie e ginocchia alla velocità della luce. Sembra di avere davanti dei centauri da cui, una volta messi di lato, spunti il corpo del cavallo. Quando poi si uniscono per il gran finale e tutti e sei sembrano un sol uomo, scoppia il boato del pubblico.
Ma siccome la vita è un crescendo di emozioni, ecco arrivare i bombos, i tamburi, quelli che i Gauchos suonavano nel buio della notte della pampa, intorno al fuoco. E ritorna la magia. Le bacchette ritmano come fossero una, all’inizio sembra di ascoltare il suono argentino di una cascatella, ma è quando aumentano il tempo e le bacchette volano da sotto le ginocchia a sopra la testa, a velocità elevatissima, che ti ritrovi in un potente vortice musicale, senza sia stata suonata una sola nota. Vieni trascinato via in un’altra dimensione per ritornare alla realtà spossato, ma mai sazio.
Quando chiedi a Fabián perché abbia scelto il Malambo, ti risponde che “le sue danze sono state le prime che ho imparato a ballare, e quando arrivava il momento di battere i tacchi sul pavimento, di ballare il Malambo, il mio cuore accelerava e sentivo un’adrenalina senza eguali, una forza e una passione che non provavo in nessun altro contesto al mondo. Potevo volare”. Quello che da bambino non poteva immaginare, è che con la sua arte sarebbe stato capace di far “volare” anche il suo pubblico. Fabián è ballerino, coreografo, attore e direttore artistico della compagnia. Ha ballato con JLo e davanti a Ellen DeGeneres. Eppure, è una tra le persone più umili e semplici che abbia mai incontrato. Così, quando gli chiedo come si diventa dei grandi artisti, pur rimanendo se stessi, ringrazia per la stima e regala a tutti noi un pensiero che vi invito a scolpire nel cuore, perché vale per tutti: “È fondamentale essere se stessi, nella vita come nell’arte. L’arte è la dimostrazione più pura e sincera del nostro cuore, della nostra personalità, dei nostri sentimenti. Si è grandi artisti se si riesce a capire che si può sempre imparare, crescere, credere, sognare, provare, reinventarsi, risorgere e condividere. Per essere un grande artista, bisogna essere rispettoso, convinto, autocritico, umile e, prima di ogni altra cosa, trasmettere amore, perché senza amore non si può essere artisti”.
L’amore. Quella cosa che fa attraversare gli oceani e scalare le vette più alte, o più semplicemente ci riporta alla vita. È l’amore per la danza, per il folklore, che spinge Romina, argentina, che ora vive in Italia, a cercare in tutti i modi di incontrare i ballerini dello spettacolo. Non ballava il folklore, che era la sua ragione di vita nella bellissima provincia di Cordoba, da diciassette anni. Ma il 2017 le riserva il più bel regalo che potesse aspettarsi. “Ballare folklore era l’unica cosa che mi sollevava i piedi da terra e mi faceva viaggiare con l’anima e la mente. E forse questo lo percepivano anche gli altri, perché ho avuto il grande onore di essere la musa ispiratrice di una zamba “Hechicera del viento” (Maga del vento)”. Nel 2000 per motivi familiari si trasferisce in Italia: cuore spezzato ma carico d’illusioni. In valigia, prima trovano posto i suoi abiti di danza, cd e cassette con la “nostra musica”, tutte le lettere e fotografie delle persone più care, “tutto ciò che non volevo perdere, tutto ciò di cui non potevo fare a meno”. Nel piccolo angolo che resta, trova spazio qualche indumento. Arrivano anni duri, due lavori per aiutare a mantenere la famiglia “qui ero con mia mamma, una sorella di 12 anni, e i miei fratelli di 7 e 2 anni”. Lingua nuova, posti nuovi, gente bella ma molto fredda e distante da quello cui era abituata. “Cercavo qualcosa che mi riportasse alle mie radici, ma nulla, tutto così diverso, di folklore nemmeno una minima traccia, tutti collegavano l’Argentina a Maradona e al tango”. Così arriva una sera di chitarre, amicizia e occhi umidi di pianto: Romina viene in teatro a Verona e cerca in tutti i modi di raggiungerci, pur non conoscendo nessuno, dopo lo spettacolo. “Al semaforo mi sono detta Cosa vai a fare? Meglio andare a casa. Dentro di me però c’era una forza più grande. Dalla porta sente la chitarra suonare una chacarera. Dopo neanche cinque minuti è lì a ballare e cantare nel miglior stile “guitarreada argentina tra amici”. Un sogno. “Erano 17 anni che aspettavo con tutta me stessa di poter vivere un momento così, qui in Italia. Ero al settimo cielo”. Ora Romina, oltre al suo lavoro, insegna folklore argentino. Ma, soprattutto, è tornata a ballare. A volare. “Voglio ringraziare la forza di Legión Malambo, che ha fatto risvegliare in me la voglia di ballare”. Come dice Fabián, “Chi balla folklore mantiene vive le nostre radici e le rende immortali”.
Chiedo a Fabián di spiegarci il Malambo: “Il Malambo è una danza folkloristica tradizionale argentina. Per la scarsa documentazione che esiste, è molto probabile che sia un adattamento della danza creola detta Canario risalente al diciassettesimo secolo, una danza individuale costituita da diversi zapateos. Entrò nelle nostre terre da Buenos Aires. Potrebbe avere alcune influenze del Solo Inglese, che si balla anche nel Rio de la Plata, ma le somiglianze maggiori si riscontrano nel Canario. La struttura di un Malambo si forma con un insieme di “mudanzas” collocate strategicamente in serie, perché il Malambo cresca in potenza, sonorità e velocità. Le mudanzas (che si eseguono con un piede, per poi “restituire” gli stessi movimenti con l’altro piede) si formano a partire dalla combinazione di zapateos basici. Il Malambo contiene diverse qualità di movimenti, clima e linguaggi musicali. Secondo me, il Malambo individuale richiede una spiccata personalità. Essere solo sul palco, eseguendo una danza così difficile è una sfida, bisogna avere molta presenza scenica, sostenere l’interpretazione e creare stati d’animo ed emozioni nel pubblico. Il gaucho zapatea (batte i tacchi [sul pavimento/palcoscenico]) per canalizzare i suoi sentimenti, la sua vita, la sua solitudine, per divertimento e per battersi in duello (il contrapunto) per dimostrare le sue abilità. Nel Malambo corale, al contrario, ha la possibilità di essere accompagnato e di sentirsi appoggiato dai suoi compagni, tutti i componenti devono essere connessi e sulla stessa lunghezza d’onda. Per quanto riguarda la coreografia, il ventaglio di possibili combinazioni, suoni e immagini si amplia a dismisura. Entrambe sono altamente attraenti, difficili e richiedono molto lavoro a monte”.
Nel Malabo della Legión, Fabian ha incorporato “linguaggi diversi, danza contemporanea, flamenco, teatro, tango, capoeira, arti marziali, beat boxing e hip hop. Ho anche incorporato strutture scenografiche e audiovisuali a oggi utilizzate da molte compagnie di Malambo nel mondo. L’evoluzione dell’arte sta nella ricerca e nella creazione, lavorando sempre nel rispetto di ogni disciplina e senza né perdere, né dimenticare di mantenere viva la nostra radice”.