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Novembre 1, 2020La parola halloween e’ stata certificata per la prima volta nel XVI secolo e rappresenta una variante Scozzese delle parole All Hallows Even che vogliono dire “la notte dei santi”.
Di Massimo Gava
Foto: Vittorio Celotti
La pratica di vestirsi in costume risale al medioevo mentre la filastrocca del dolcetto o scherzetto, ricorda molto l’antica usanza della povera gente che la sera dei santi, in cambio di cibo, andava a pregare per le anime dei defunti delle famiglie più agiate
Nonostante questa tradizione sia stata trasportata in America dai britannici e dall’ immigrazione irlandese, pochi sanno che le radici di questi rituali si ritrovano già nella festività romana di Pomona, la dea della frutta e dei semi, connessa con la Parentalia, una celebrazione pagana a ricordo degli avi di famiglia.
Questa tradizione e’ stata mantenuta intatta in Italia per secoli. Anche Shakespeare la menziona nella sua commedia I due signori di Verona ( The two gentlemen from Verona) scritta nel 1503 dove Speed , il servo, dice al suo padrone, nel contesto della scena, che deve imparare a parlare come un mendicante la sera dei santi.
La memoria dei miei parenti non può risalire al 1600 ma può ancora testimoniare con quali tradizioni, agli inizi del XIX secolo, la gente italiana, si preparasse alla notte dei santi.
All’epoca il tasso di analfabetismo era ancora molto alto e frequentare una scuola era prerogativa dei ricchi, anzi, per l’economia rurale di allora, dedicarsi allo studio, avrebbe solo tolto manodopera indispensabile al lavoro della terra. Nel film L’ Albero degli zoccoli di Ermanno Olmi, palma d’ oro a Cannes nel 1978, che consiglio a tutti di vedere, il regista mostra uno ritratto meraviglioso, di come vivere in quell’epoca fosse, per la gente contadina, una lotta quotidiana alla sopravvivenza e di come si sublimasse la fatica del lavoro pesante, della fame e dell’ ingiustizia, con tutti i mezzi a disposizione. Ecco che alcuni diventavano maestri nel nascondere la fatica indovinando quello che non conoscevano ed usando la loro immaginazione per creare quello che non avevano.
Gli inverni erano lunghi e freddi, il sole calava alle quattro del pomeriggio e le sedici ore di arcigno buio che seguivano sembravano durare un’eternità. Il legno da ardere bastava appena per cucinare. Così dopo cena, appena il fuoco calava il suo ardore, tutte le famiglie che vivevano nella corte si spostavano nella stalla, era il solo luogo dove faceva caldo grazie alla presenza degli animali, ma proprio in quel posto la magia dei filò prendeva forma.
Le storie narrate erano informazione, ricordi, comunicazione, ma sopratutto scuola di creatività. Queste nascevano in un luogo triste e povero, un mondo che seguace della sopportazione, con la fantasia, aspirava alla redenzione, creando la speranza alla sopravvivenza. Nell’attuale società piena di gente in sovrappeso e’ difficile poter immaginare la fame di quei tempi.
Grazie alle fantastiche storie in quelle stalle, la notte non era più cosi fredda e quel “cibo per la mente” anestetizzava i bisogni del corpo.
La tradizione dei Filò e’ datata attorno al 1500. Lo scrittore veneziano Ruzzante, ne cita questa pratica nelle sue commedie. Il primato di queste usanze spetta al Veneto e al Friuli poi, seguono nel tempo, Lombardia, Toscana, Emilia Romagna, Abruzzi, e Sicilia. Un’ innumerevole quantità di tradizioni agricole, riti, segreti di cucina, canzoni e storie di vita, venivano passate in quei luoghi di generazione in generazione.
In ogni famiglia c’era un custode di queste preziose radici ed era di solito quello che aveva un talento particolare nel raccontare, oppure erano spesso uomini soli, sensitivi, visionari, con dei trascorsi pieni di esperienze che in cambio di un giaciglio per la notte e un po’ di cibo, offrivano, le loro abilità lavorative durante il giorno ed il loro talento narrativo la notte.
Con parole semplici raccontavano vicende epiche che avevano vissuto nei loro viaggi, terribili pestilenze, guerre, cataclismi di dimensioni devastanti, esorcismi di diavoli e fantasmi.
Le storie creavano le immagini che illuminavano le notti di quella gente che le ascoltava e, tutti, si costruivano un proprio film. Alcuni andavano appositamente di stalla in stalla per sentire la migliore interpretazione e l’ ascolto era sempre aperto a chiunque.
La luce tenue di una lampada ad olio era l’ unico riflettore. In quella luce soffusa, le parole avevano un sapore speciale. Al di là di quella penombra il rumore degli animali, il loro grattarsi, il loro ruminare, faceva da colonna sonora al racconto, unito al suono delle gente che ascoltando creava un atmosfera unica continuando a fare i loro piccoli lavori. Il rumore del telaio che creava la stoffa di canapa, lo sbattere del fiasco con il quale i bambini, a turno giocando, trasformavano la crema in burro, il rumore del “corlo”, l’arcolaio che filava la lana, che dalle pecore diventava magliette, guanti o calzettoni per aiutare la famiglia a sopportare l’inverno rigido. Ed e’ proprio il filare, questa importante attività, che diede il suo nome ai filò.
Nelle notti calde e umide delle stalle gli umani coesistevano armonicamente con gli animali dai quali dipendevano in un equilibrio delicato.
Uomini e donne erano sempre discretamente separati come in chiesa, lavoravano mentre sentivano le storie dei vecchi. I ragazzi seduti in un rispettoso silenzio attiravano l’ attenzione delle ragazze con sorrisi furtivi mentre loro, abbassando gli occhi, continuavano imperterrite a ricamare celando nella penombra il loro rossore.
I piccoli si attaccavano ai genitori spalancando gli occhi e la bocca nel sentire i racconti dei filò, mentre, fuori le mura di quei luoghi, la nebbia saliva intrappolando il resto del mondo nella sua tela.
C ‘era tutta una cultura regionale che si sviluppava attorno la notte dei santi con i più svariati riti. In Sicilia si preparavano regali e dolci per I bambini, che venivano donati come se fossero stati portati dagli antenati. In Emilia Romagna i poveri andavano di porta in porta, pregando per le anime dei defunti in cambio di cibo. Nel Veneto e Friuli si svuotavano le zucche che poi, colorate e con una candela posta all’ interno, diventavano lanterne alle quali veniva dato un significato di resurrezione.
L’ immagine corrente di Halloween è più una celebrazione letteraria da film dell’horror ed ha molto poco in comune con le usanze agresti passate ma è comunque divertente vedere come un esempio della vecchia tradizione sia tornato in uso in Italia, seppur con un significato completamente stravolto. Questa società consumistica ha riadattato un concetto antico e l’ha modificato per i propri fini commerciali nella stessa maniera in cui gli emigranti celti in America, non trovando le rape da scavare, ripiegarono per necessità, ma senza saperlo, sulla pratica originale italiana usando delle zucche, solo perché già coltivate in quelle terre ma ancora sconosciute nel Regno Unito.
Il mondo e’ sempre stato in costante evoluzione, in meglio o in peggio, chi lo può dire? Forse una nuova fase epocale sta per iniziare in un mondo che non può più sostenere questo sviluppo sfrenato. Cambiamenti climatici, nuove epidemie, guerre, non sono più fantasie da filò ma realtà che prima o poi dovremo tristemente affrontare e non saranno ne social network ne selfie che potranno risolvere con un click i problemi dell’intero pianeta. Si, il pensiero può far paura ma la miopia e l’ indifferenza possono creare effetti ben più devastanti. Non ci credete ? Beh allora vi faccio una magia, aprite gli occhi invece di chiuderli a quanto ipotizzato e consideratelo pure il mio “scherzetto” di Halloween … ma consideratelo!